Come si presenta l’attacco di panico

Un fulmine a ciel sereno. E’ così che arriva un attacco di panico. Improvvisamente, senza che la persona se lo aspetti. E’ una sensazione terribile. Dal nulla viene e nel nulla, dopo qualche minuto o al massimo poche decine di muniti, sparisce. Il primo attacco è il peggiore in assoluto. Possiamo pensare di essere sul punto di morire, di avere un infarto, una malattia grave oppure, in alcuni casi, si può pensare ad una malattia sconosciuta.
Cosa è successo? Perché è avvenuto? Inizia così il calvario di chi soffre di un disturbo da attacchi di panico. Iniziamo ad avere paura a temere che si possa ripresentare improvvisamente. E se ci trovassimo in auto, e se capitasse in un luogo affollato dove non può arrivare facilmente un soccorso, e se succedesse in un posto isolato dal quale può essere difficili o imbarazzante allontanarsi… Le paure sono pressoché infinite. Le prime cose a cui si rinuncia in genere sono i mezzi di trasporto pubblici soprattutto la metropolitana, ovvero tutti quei luoghi in cui può essere difficile allontanarsi in caso di crisi d’ansia. La paura aumenta lo stato di tensione e la sensazione d’ansia e, ad un certo punto, arriva il secondo attacco.
Il secondo attacco in alcuni casi non è preceduto da stati di tensione eccessivi e può presentarsi nel soggetto anche a distanza di mesi o anni dal primo. E’ proprio però il secondo attacco che ha il alto valore patogenetico. Il secondo attacco conferma la nostra principale paura: può capitare ancora!
A questo punto l’ansia è ancora più alta. Ed arriva il terzo attacco e così via.

Ora la paura non è più quella dell’attacco in sé, ma la forma secondaria nota come “paura della paura” o più tecnicamente “ansia anticipatoria”. Iniziamo a temere la paura stessa, quella sensazione terrificante e angosciante di perdita di controllo spesso, ma non sempre, accompagnata da paura di morire o di impazzire.
I sintomi li conosciamo bene: tachicardia, sensazione di asfissia, mancanza d’aria e sensazione di soffocamento, dolori al petto o addominali, ansia, tremori, paura di morire, paura di perdere il controllo, nausea, testa leggera, sensazione di irrealtà, ed altri eclatanti sintomi neurovegetativi sono gli aspetti fenomenologici di quello che viene definito attacco di panico o, più comunemente, crisi d’ansia. Nonostante tali importanti sintomi però, esiste un intervento, quello psicologico, altamente efficace per la risoluzione ed il miglioramento delle crisi d’ansia.
Spesso però la vergogna per i sintomi, la paura di impazzire e l’imbarazzo non permettono alla persona di chiedere una consulenza psicologica.
Ma così facendo anziché risolvere si tende ad evitare la reale possibilità di soluzione. Evitare è una parola che chi soffre di crisi di panico conosce bene; la tendenza ad evitare diviene presto un circolo vizioso che alimenta il disturbo anziché risolverlo; si evitano luoghi, mezzi di trasporto, spostamenti, situazioni sociali fino ai casi più gravi in cui la persona non riesce ad andare oltre la propria città, quartiere, o addirittura non riesce ad uscire di casa.

Si inizia a sperimentare incomprensione e solitudine e può emergere una forma depressiva reattiva secondaria.
Evitare, si comprende bene, non risolve la situazione, anche se crediamo che non evitare equivalga a soffrire.
Un’altra tendenza è la ricerca di un supporto in famiglia, nel partner, negli amici. In caso di necessità ci facciamo accompagnare ovunque: a lavoro, a scuola, in ospedale, dallo psicologo. Ovvero si tende a creare una rete di sostegno che ci possa offrire sicurezza in caso di necessità, visto che l’attacco si presenta improvvisamente e senza controllo.
Molti pensano che la psicologia non possa aiutare a risolvere un problema che sembra davvero grave, visto il tipo di sintomi. Purtroppo chi pensa questo non chiederà mai un intervento psicologico pertanto non saprà mai se quello che pensa sia vero oppure è uno dei tanti stereotipi sociali a cui aderiamo.
Alcune persone non chiederanno mai un aiuto psicologico, invece, perché ritengono che chiedere aiuto ad uno psicologo, anche sapendo l’efficacia, sia dichiarare di non farcela da soli. Anche se farcela da soli spesso significa decidere “da soli” di chiedere l’intervento di un professionista.

Il recupero ed il miglioramento sono possibili con un’altissima aspettativa di efficacia terapeutica ed è per questo necessario informare sia chi soffre di attacchi di panico che coloro che vivono insieme ad una persona che ne soffre. Il rischio è quello di intraprendere terapie non efficaci, lunghe o energicamente troppo onerose. Lo stesso farmaco è nella maggior parte dei casi un palliativo (significa che non cura ma, quando funziona, attenua i sintomi). Spesso diventiamo dipendenti dal farmaco. Lo portiamo sempre con noi (in borsa, nella tasca della giacca); diviene la nostra ancora di salvezza, ci da sicurezza. Ma anche questa pseudo-sicurezza non ci aiuta a risolvere il problema, anzi, ne crea un altro: la dipendenza psicologica.
Per alcuni casi gravissimi il farmaco può essere necessario ma, nella maggior parte dei casi gli attacchi di panico possono essere risolti o la situazione migliorata con interventi brevi e mirati di tipo psicologico.

Il punto della situazione deve essere chiaro: si tenterà di risolvere il più brevemente possibile ciò che reca disagio e sofferenza andando a studiare ed intervenendo sui processi di mantenimento del disturbo. Chi si reca da uno psicologo per la prima volta potrebbe temere che si andrà a scavare in un passato così remoto che neanche si ricorda più. La realtà della psicologia moderna è diversa. L’intervento è mirato e si rivolge ai processi di organizzazione del disturbo più che su le cause “inconsce”. In fondo dobbiamo essere molto pragmatici: una persona vuole risolvere ciò che gli reca sofferenza e disagio non vuole avere più problemi di quelli che già ha. Se poi, dopo aver risolto il problema più urgente, vogliamo capire come è nato, avremo tutto il tempo per farlo.

Give a Reply

Servizio Sospeso